FONTI Teoria-PUBLICLAW

FONTI Teoria

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Segue Teoria delle Fonti

Dire che esistono fonti di norme sulle fonti introdurrebbe un circolo vizioso infinito. Hans Kelsen, nella sua teoria dello Stufenbau, immagina che esista una norma-base, una Grundnorm, che per il diritto e la scienza giuridica costituisce un dato, il cui studio non rientra nello studio del diritto. Per i seguaci della teoria istituzionalistica (Maurice Haouriou, Santi Romano) l’ordinamento intero trova fondamento di base nelle organizzazione di istituzioni, la cui coesione dà validità al diritto. In base a impostazioni più recenti, il fondamento di tali norme si rinviene nella costituzione materiale.

Le fonti di cognizione sono gli strumenti legittimati a fornire l’esatta conoscenza dei testi normativi (disposizioni) posti dalle fonti di produzione.

Si distinguono ancora le Fonti atto, controllate da un centro di potere dell’ordinamento, dalle Fonti fatto (come la consuetudine, le convenzioni costituzionali, lo stato di necessità).

Infine, può accadere che per disciplinare situazioni particolari l’ordinamento utilizzi le fonti o le norme di un altro ordinamento (attraverso il rinvio).

Interpretazione / Anomie

Le fonti di cognizione contengono il testo linguistico delle norme, cioè le disposizioni. Data la distinzione tra diritto formale (law in the books), e diritto vivente (law in ac­tion), la norma non coincide necessariamente con la disposizione. Infatti, nel momento della applicazione, i soggetti del diritto interpretano la disposizione, creando la norma.

In qualsiasi rapporto all’interno della società le fonti vengono interpretate, ma solo in alcuni casi l’interpretazione ha un valore specifico. Si tratta dell’interpretazione autentica che è quella fornita dal centro di potere che controlla la fonte (il legislatore) e dell’interpretazione giudiziale, che è quella operata dal giudice nella sua funzione di soluzione delle controversie. Un forte valore orientativo ha l’interpretazione data dalla scienza giuridica (dottrinale), mentre quella praticata dalle prassi e dagli atti interni e circolari degli uffici pubblici (burocratica) possiede di fatto un enorme potere di indirizzo dell’amministrazione.

La teoria dell’interpretazione ha variamente individuato una serie di tecniche interpretative.

Non ha valore univoco l’interpretazione letterale, come mostrano le scienze semiologiche, a differenza dell’interpretazione sistematica e di quella adeguatrice, che, collegando il significato delle norme ai contesti e valori dell’ordinamento, collegano la law in action alla costituzione materiale. A sua volta, l’interpretazione evolutiva permette di adattare l‘ordinamento al mutamento strutturale della costituzione materiale.

L’ordinamento non può prevedere tutto; in presenza di fattispecie concrete prive di regole è consentito al giudice il ricorso alla interpretazione estensiva (estendendo appunto l’applicazione di una norma), o analogica, presumendo che a un caso non disciplinato possa applicarsi la disciplina di un caso analogo (analogia legis) o, in mancanza di questo, i principi generali del diritto analogia juris). Ovviamente l’analogia non si applica alle norme eccezionali e a quelle penali.

Antinomie

Quando una stessa fattispecie è diversamente disciplinata da due o più fonti, le relative norme entrano in conflitto tra loro. L’applicazione dei criteri di soluzione delle antinomie presuppone una funzione di selezione e riconoscimento della fonte prevalente. Tale funzione è svolta dal giudice, nell’esercizio della funzione giurisdizionale

Il principio chiave è la gerarchia (v. slide 5): la fonte di grado superiore prevale su quella inferiore.

Di fronte a fonti dello stesso rango, o a norme confliggenti della stessa fonte, il criterio generale è quello cronologico secondo il brocardo Lex posterior derogat legi priori. Il meccanismo di prevalenza è in genere costituito dall’abrogazione, che ha l’effetto di cancellare ex nunc dall’ordinamento la norma temporalmente precedente.

Una eccezione al criterio cronologico si ha in presenza di norme che, facendo eccezione a regole generali, sono dotate di specialità; anche qui soccorre l’efficacia del latino (Lex specialis posterior derogat legi priori generali). In questo caso non si parla di abrogazione ma di deroga o disapplicazione, perché non si ha cancellazione di norme.

Una seconda eccezione si ha se l’ordinamento attribuisce alle fonti confliggenti una differente competenza, come avviene ogni qualvolta le norme sulle fonti prevedono per una determinata materia la riserva di legge. Un altro classico esempio si ha nella competenza concorrente tra Stato (norme di principio) e Regioni (norme di dettaglio). In queste evenienze la eliminazione della norma che travalica la sua competenza non è in genere automatica, ma viene dichiarata da un giudice con apposita competenza.

Sistema delle fonti

La dinamica dell’ordinamento è affidata ai giudici, i quali, oltre a selezionare la fonte e interpretare la norma, giudicano anche sulla loro legittimità.

Infatti, il conflitto tra fonti di diverso grado è risolto dal giudice al quale è attribuita la competenza di annullamento della norma che viola la fonte di grado superiore. L’annullamento opera in genere ex tunc (vale anche per il passato e i rapporti ancora pendenti), salvi i rapporti e le situazioni ormai definitivamente esauriti.

Il paradigma della gerarchia è la legge formale ordinaria del Parlamento, nella sua veste di strumento normale di produzione del diritto; il suo rango nella scala gerarchica costituisce la forza di legge. Le fonti dotate di forza di legge o superiore sono un numerus clausus, per i principi di tipicità e tassatività.

Gerarchia

Sul gradino più alto della scala sono poste le fonti supreme e le fonti costituzionali, alle quali seguono, con forza minore ma comunque superiore alla forza di legge o derogatorie per la loro specialità, le fonti speciali e rinforzate.

Nel gradino successivo sono collocate le fonti primarie, cioè le leggi, e tutte le altre fonti  equiparate che condividono la forza di legge. Il giudizio sulla validità e legittimità di queste fonti e di quelle di rango superiore è di competenza del giudice costituzionale.

Le fonti che non hanno forza di legge sono qualificate secondarie o regolamentari; il giudizio sulla loro validità e legittimità è rimesso al giudice ordinario e/o al giudice amministrativo.

I giudici, signori delle fonti, traggono dalla disposizione (law in the books) la norma giuridica (law in action), configurando la creazione giudiziale del diritto vivente, che è poi l’essenza della funzione giurisdizionale.

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